Gianni Bergamaschi
Per un’ "autodidattica" della composizione e dell’improvvisazione nel jazz

 

Frammenti

 

1.

Sebbene anche il jazz necessariamente implichi, a mio avviso, un’indiscutibile componente introspettivo-sentimentale, va tuttavia compreso come tale dimensione vi risulti accessibile soltanto a livelli di elevata e rarefatta sublimazione (*).

 

2.

L’artista autentico intrattiene un rapporto piuttosto disinvolto con il proprio inconscio: ne è il tranquillo "navigatore".

 

3.

L’illuminazione (ovvero, l’idea musicale di partenza) affiora collocandosi già ad una precisa tonalità ed altezza. È necessario avere di ciò il massimo rispetto: è così che l’inconscio parla, manifestando anche in tal modo le proprie "logiche" misteriosamente ferree. Affinché lo faccia sempre più spesso, occorre imparare ad ascoltarlo con totale disponibilità, gratificandolo.

 

4.

Non è affatto detto (e neppure sembra possibile) che, componendo o improvvisando, si debba sempre e necessariamente pro-durre qualcosa di assolutamente nuovo, o inedito. L’inconscio, la cultura (musicale e non), la tecnica inevitabilmente fondono al nuovo qualcosa (molto o poco) di deja vu (deja ouï). Quel che conta è che lo stile del "ripescaggio" sia personale, unico, irripetibile.

 

5.

Per creare, non ascoltare troppa musica, soprattutto quella altrui: restarsene in silenziosa solitudine (Pat Metheny: ore di assoluto silenzio, prima di un concerto).

 

6.

A partire dalla prima apparizione dell’idea musicale originaria, semplice e non articolata, la sua elaborazione armonico-melodica può essere definita come una serie di sostituzioni (non soltanto in senso teorico-musicale, ma anche secondo un’accezione più apertamente psicanalitica, trattandosi pur sempre di veri e propri "spostamenti", se non addirittura psico-crono-logico-retorico-testuale, essendo l’elaborazione del discorso musicale costituita da un equilibrio iniziale con immediata rottura del medesimo, da cui l’inevitabile tensione creativa, da uno sviluppo/articolazione e, infine, da un rinnovato, e spesso inedito, equilibrio che, alla conclusione del "manufatto", si ponga anche quale risoluzione/distensione).

 

7.

Il musicista autodidatta è un ricercatore: lo è tramite la musica, nel senso che egli ha scelto la musica come "strumento" di indagine.

 

8.

Composizione e improvvisazione come evasione, "trance", ma anche, e soprattutto, come analisi, autoanalisi, scoperta di modelli esplicativi e operativi, disciplina, costruzione di un lessico e di una grammatica personali. Il mio modo di "apprendere" la musica, e quindi di penetrare sempre meglio i suoi segreti, si è identificato con la scelta di tale percorso esperienziale, induttivo, assolutamente personale.

 

9.

Ritengo utilissimo registrare le proprie produzioni estemporanee, i propri "soli" (quelli realmente improvvisati), studiarseli con cura, analizzarli mediante le "chiavi" più diverse, per riuscire a crearsi una propria enciclopedia, dei propri pattern, per sviluppare eventuali intuizioni ancora in embrione, o non sufficientemente articolate, spesso anche a causa di una tecnica non ancora "all’altezza". È allora che lo svolgimento di determinate intuizioni conduce anche ad un vero incremento tecnologico: scoperta di inedite soluzioni armonico-melodiche, di nuove "prese", ecc. è una "via" paradossale: bloccare l’attimo fuggente, trascrivere ciò che fugge la scrittura. Infatti: sembra impossibile poter fermare sul pentagramma certi accenti o effetti stilistici, inconfondibilmente personali, o quegli anticipi e ritardi che recano in sé la connotazione di quel particolare stato di ebbrezza, libertà, stress come vita, eccitazione, brivido, indecisione, panico, accesa emotività, ovviamente connesso ad ogni vera prova sostenuta senza sufficienti garanzie di sicura riuscita.

 

10.

Nell’esecuzione di temi e soli (improvvisati e non), il musicista sottopone all’attenzione dei propri ascoltatori il prodotto di una lunga ricerca da lui stesso condotta nel tempo, intesa come costante e laboriosa tensione all’essenza, o selezione (sull’asse paradigmatico delle possibilità) delle soluzioni com-positive migliori (per lui), e questo esclude tanto la ripetizione meccanica e passivo-non partecipe di pattern altrui, quanto ogni sterile e circense virtuosismo. In sede esecutiva, ciò comporta che siano fatte tutte le necessarie premesse affinché il rapporto con l’audience risulti assolutamente trasparente. In particolare, verranno messe da parte tutte quelle preoccupazioni estrinseche che nulla hanno a che vedere con la reale comunicazione musicale (gara-certamen, vanitosa ostentazione della propria tecnica, narcisistica esibizione di sé, ecc.).

 

11.

Nella costruzione di un tema, come nella produzione di un solo, ricerco la "cantabilità", anche nel senso che, sotto le note, dovrebbero potersi avvertire delle "parole" (fraseggio come discorso segreto). Dunque: parlabilità di un tema o di un solo, in quanto intimo dialogo tra musicista e strumento, tra musicista e ascoltatore. Ciò consente di sfuggire con naturalezza tanto ai vuoti pattern, quanto, e soprattutto, a quei fraseggi virtuosi ed insignificanti, abbaglianti ma indifferenti di cui è ricolmo il vocabolario dei "dimostratori": non c’è creatività, non c’è sentimento, non c’è verità. Chi sa "cantare" (e dietro c’è tutto un mucchio di cose che non si imparano a "scuola"), può farlo soltanto quando è se stesso, cioè mentre improvvisa davvero, e sappiamo che questo, persino nella storia del jazz, è avvenuto piuttosto di rado (ben poca melodia e "cantabilità", ad esempio, tra gli anni ’40 e ’50…).

 

12.

Nel lavoro di elaborazione armonico-melodica di un’idea-stimolo, tento di conseguire quell’equilibrio espressivo, che secondo me è fondamentale, coniugando in assoluta simultaneità due procedimenti: la semplificazione e la complicazione. In particolare, mi piace immaginare che persino l’etimologia profonda del termine complicare sia la seguente: dal lat. cum + implicare, ecc. ecc. (nel senso di: creare legami, relazioni, coesione tra gli elementi in gioco nel discorso, come avviene, ad esempio, in quello che io chiamo "fraseggio stretto").

 

13.

Fraseggio "stretto": ci si muove a piccoli passi, salendo o scendendo; si modula (anche su armonie "distanti") tramite il filo rosso, la "porta stretta" che faccia fruttare al massimo la prossimità spaziale (sulla tastiera), la "sfumatura" (nuance); si accede ad un nuovo accordo (o tonalità) sfruttando immediatamente un cromatismo che esalti una nota che, contenuta nella precedente tonalità, ne giustifichi una brusca ed imprevedibile alterazione o variazione, o che, "scivolando via" dalla precedente tonalità, si cali nella nuova in una posizione non dominante (la leggerezza del pastello…); suonando in ritardo, "restando indietro", dando respiro, esorcizzando la sgradevole tensione delle note sempre in anticipo (segno di scarso "dominio": dello strumento e di sé), ma soprattutto lasciando baluginare relazioni latenti.

 

14.

L’improvvisazione autentica gode di quella "leggerezza" (spontaneità, naturalezza) che, di norma, non è possibile trovare in una falsa improvvisazione.

Ancora sulla "leggerezza": esistono particolari progressioni melodiche che chiamerei "astratte", il cui effetto è quello di far avvertire l’armonia da "molto lontano", rarefatta, sfiorandone la quintessenza. Sono la "firma" dei grandi, grandissimi musicisti. Poi, è tutto un problema di "tocco" e "levigatezza".

 

(*) Le espressioni sottolineate potrebbero costituire, assieme ad altre, una sorta di lessico dell’autodidatta.

 

Piccola "antologia" di punti di vista sulla composizione/improvvisazione nel jazz

 

1) Jazz = improvvisazione (Metheny)

2) Nell’improvvisazione: tecnica & ispirazione, ma anche tecnica VS ispirazione (Metheny)

3) Improvvisazione come trance "surrealista" (Metheny)

4) Necessità di ascoltarsi, controllando ogni istante della propria performance (Metheny)

5) Studio di quanto prodotto da altri musicisti (chitarristi, pianisti, corni) come imitazione di "exempla" e "furto di segreti" (Metheny)

6) "Solo" come produzione estemporanea o costruzione a tavolino? (Metheny)

7) Improvvisazione come traduzione di idee (Metheny)

8) Costruzione di un "solo" come saggio delle proprie capacità [musicali] (Metheny)

9) Non c’è bisogno di suonare veloci, ma saperlo fare aiuta a fraseggiare meglio (Montgomery)

10) Improvvisare imitando il canto (Montgomery, Scofield)

11) No esasperato virtuosismo, no pattern (Montgomery, Scofield)

12) Trascrizione di un solo estemporaneo e riesecuzione di particolari passaggi come strategia di scavo nella propria personalità (per essere se stessi) (Scofield)

13) "è incredibile ciò che si riesce a fare quando non lo si sta per nulla tentando" (Scofield)

14) "Bisogna veramente esercitarsi per suonare liberi" (Scofield)

15) Quanto ai piccoli "motivi" su cui ciascun chitarrista fa affidamento, quel che conta è ciò che con essi si riesce a fare (Scofield)

16) Importanza dei fraseggi dei grandi musicisti sui cambi di accordo (Scofield)

17) Suonando al buio si impara a "sentire" la propria strada sulla chitarra (Scofield)

18) Bird ed Hendrix non hanno copiato gli altri, ma hanno sviluppato la propria "voce" (Scofield)

19) Il jazz è un modo di vivere da sperimentare in prima persona, attraverso il processo di prova ed errore; non può essere insegnato (Martino)

20) Conosciuti i segreti e i meccanismi della chitarra, sarà essa stessa il nostro migliore insegnante (Martino)

21) Suonare le note "sbagliate", conoscere le regole per infrangerle (Frisell)

22) Si può entrare in un solo con esitazione, cercando la "via" (Frisell)

23) Improvvisazione come apertura a ventaglio del tema, come suo sviluppo rielaborato, come "piroetta", come parafrasi o variazione abbellita di un dato motivo (Frisell)

24) Suonare lentamente (valore delle pause), per evitare qualsiasi automatismo esecutivo (Hall)

25) Limite come stimolo all’espressività (suonare su una sola corda, adottare posizioni inusuali, scordare la chitarra ad arte, ecc.) (Hall)

26) Se a monte di un song c’è un testo, è importante conoscerlo (Hall)

27) Articolare le note come le parole di un discorso (Hall)

28) Evitare tonalità e cliché tipicamente chitarristici (Hall)

29) Trattare in modo inusuale il materiale noto (Hall)

30) Nell’improvvisazione, l’aspetto ritmico-melodico è più importante di quello armonico (Forman)

31) Costruire delle linee melodiche che connettano gli intervalli tra le note degli accordi (Forman)

32) Creare tensione e distensione (senso di moto e risoluzione) (Forman)

33) Ignorare le armonie e tirare dritto sopra i cambi di accordo (Christian)

34) Lavorare su armonie semplici e temi non troppo elaborati: la melodia è la vera Gestalt (Christian)

35) Costruire lunghe e lineari melodie, dalla stringente consequenzialità, immersi in una sorta di tranquilla contemplazione (Raney)

36) Lasciarsi ispirare e guidare dalle proprie stesse frasi (Reinhardt)

37) Temi con note lunghe che lascino nel solo ampie possibilità di improvvisazione (Reinhardt)

38) è necessario assimilare bene le armonie attraverso numerose prove con il gruppo (Cerri)

39) "Virtuoso" non è soltanto colui che riesce a suonare velocemente e con pulizia, ma anche e soprattutto colui che riesce a dire le stesse cose usando pochissime note: ciò costringe a "pensare" e a centellinare (Mariani)

40) Usare la tecnica, impedendo che essa "usi" noi (Mariani)

41) Anche la memorizzazione di svariate frasi proprie può portare a suonarle senza riflettere, per abitudine (Mariani)

42) L’interplay con i propri compagni rende inimmaginabile a priori lo sviluppo di un’improvvisazione e costringe a "pensare" (Mariani)

43) è bene acquisire elementi ritmico-melodici da utilizzare altrove (Diorio)

44) Occorre imparare a trascendere scale e arpeggi nella loro forma di base (Diorio)

45) Suonare delineando l’armonia in modo melodico (Diorio)

46) Imparare a sillabare le note degli accordi dalla fondamentale alla tredicesima è molto importante, come è utile separare le note all’interno di una struttura armonica per ottenere dei "frammenti", ovvero due o tre note che identifichino l’armonia (quest’ultima operazione aiuta molto nell’improvvisazione melodica, conferendole varietà) (Diorio)

47) L’improvvisazione dovrebbe essere una composizione istantanea (Angeleri)

48) La scrittura è fondamentale perché indica un insieme di schemi ritmici e melodici che possono conoscere uno sviluppo estemporaneo (Petrini)

49) Comporre vuol dire anche avere un’idea musicale, un progetto che preceda il concerto. Non deve essere necessariamente superarticolata, e può limitarsi ad un frammento di otto battute, che sia una sfida all’improvvisazione, che si contrapponga, stimolandolo, al momento creativo, che indirizzi gli assoli, che consenta ai solisti di "strizzare" l’occhio al clima creato dal compositore. Di fronte ad un bel tema, l’assolo si giustifica se riesce a competere in bellezza con la melodia (G. Tommaso)

50) Anche nella storia del jazz moltissimi musicisti smentiscono la filosofia del rischio insita nell’improvvisazione, ricorrendo ad assoli standard sui pezzi del loro repertorio, quindi ad una specie di scrittura "nascosta". Armstrong e Parker su un pezzo facevano sempre lo stesso assolo. La scrittura "nascosta" di Lee Konitz, invece, consiste in una straordinaria conoscenza dell’armonia che gli permette di evitare ogni cliché (G. Tommaso)

51) Il grande artista sa rivitalizzare ogni sera un’elaborazione solistica già esistente, anche se la suona mille volte (G. Tommaso)

52) In generale, i musicisti neri improvvisano molto meno dei bianchi (problemi di ordine razziale, difficoltà ad assumersi il rischio di un insuccesso) (G. Tommaso)

 

53) Il jazz, soprattutto come improvvisazione, non morirà finché ci sarà un poeta (E. Intra)