Il "Sistema
Fisico Stilistico Personale"
di
Gianni
Bergamaschi
1. Ripartendo dal plettro…
Spesso rifletto sulla mia spiccata tendenza a privilegiare la melodia a scapito dell’armonia, e dunque a considerare la chitarra uno strumento soprattutto monodico (benché il mio obiettivo sia sostanzialmente "meloarmonico", fondato cioè su un voler delineare o far intuire l’armonia attraverso la melodia), e mi domando se tutto un certo discorso che faccio tra me e me sulla particolare "costituzione" del mio "suono" (basato essenzialmente su un certo uso del plettro; cfr., sempre in Didattica, il mio saggio su La "formazione del suono" nella chitarra jazz) non sia applicabile in qualche modo anche all’armonizzazione vera e propria (ammesso che davvero possa esistere qualcosa del genere e comunque, qualora esistesse, da intendere squisitamente come "CAMPO", sfondo, scenario, ambiente di elementi dinamici nel cui contesto possono originarsi, stagliarsi e soprattutto avere/prendere senso le tensioni/distensioni via via manifestate sul piano melodico, quello del "canto", lirico o narrativo).
Indubbiamente, però, tutto quel mondo di situazioni che con espressione non sempre appropriata di frequente definiamo "accompagnamento" potrebbe benissimo richiedere (e di fatto spesso richiede) approcci anche assai differenti da quello/i consentito/i dal plettro (ad es., mediante uso del pollice, stile pizzicato, sfioramento, effetti di assolvenza/dissolvenza, ecc.), il quale appare invece essenziale al mio particolare stile monodico. E così il problema nemmeno si pone.
Al contrario, l’esposizione di una melodia (scritta o improvvisata) deve assolutamente dipendere, per me, dallo specifico mio modo di utilizzare la "penna", e da nient’altro.
In tal senso, dovrei definirmi un "chitarrista a plettro" o, senza che l’espressione voglia implicare alcuna presunzione di singolare qualità, uno "specialista" di questo oggettino, solitamente minimo quando non addirittura microscopico, comunque smarribilissimo, per me tanto prezioso ed insostituibile che è appunto "sua Maestà il PLETTRO!".
Senza di lui (nell’originale razza che ho accuratamente selezionato, oltre che, con metodica operosità, pazientemente usurato), in effetti, non potrei neppure suonare, se ciò vuol dire rappresentare autenticamente se stessi.
Temo, ad esempio, che i polpastrelli possano restituirmi troppo fedelmente quelle sonorità scontatamente "chitarristiche" che da sempre tento, più o meno consapevolmente, di trascendere.
A meno che da un tale "contatto" non si riesca a generare (come splendidamente fece il grande Wes) una visione davvero innovativa, e sommamente espressiva, della sei corde.
Certo, per fare un po’ di baldoria all’osteria o in gita scolastica va bene tutto, anche solo un pezzettino di cartone o un triangolino di plastica, ricavato chissà come, da grattare sulle corde …
2. Strategie "abili" a sinistra e a destra affinché la chitarra non suoni come una "chitarrina"
Non mi sembra sia mai stata considerata con adeguato interesse la fondamentale importanza della metà inferiore del palmo della mano destra (MD), per l’indispensabile smorzamento delle corde gravi (sempre pronte a creare indesiderabili liaison di simpatia con quelle più sottili), al fine di impedirvi inopportuni "bordoni".
Così mi viene spontaneo gettare un’occhiatina un poco più diligente su tutte quelle parti delle mie due mani che attivamente impegno per ottenere quel preciso suono, espressivamente monodico, che regolarmente desidero.
Senza troppa fatica ne ricavo alcune osservazioni che non mi sembrano affatto insulse.
Esse riguardano:
1) la particolare presa, inclinazione e utilizzo del plettro;
2) la funzione di stopper di almeno una fra le tre dita "libere" della MD, quasi raccolte al di sotto del MI cantino ed eventualmente appoggiate, a fini di equilibrio, alla tavola dello strumento ovvero al battipenna aereo (quando c’è) o infine sempre più tenacemente abbarbicate al MI cantino man mano che a ballare sono le corde più gravi;
3) la funzione di sordina, evidenziatore di armonici e slapper del pollice (polpastrello) che con l’indice regge il plettro;
4) la funzione di stopper dei polpastrelli della mano sinistra (MS);
5) la funzione di stopper del palmo inferiore della MD (vedi sopra);
6) lo scatto e l’intensità di pressione, con impercettibile anticipo sulla pennata, da parte delle dita della MS;
7) le frequenti variazioni di dinamica nell’uso del plettro volte a sollecitare (anche ad esaltazione di ogni altra strategia, codificata o meno) risposte timbricamente cangianti ed espressivamente interessanti da parte delle corde.
Con l’andar del tempo, ciascuno di questi specifici comportamenti viene inconsapevolmente "appreso" e progressivamente perfezionato, quale automatismo sensorio-muscolare, se non addirittura di "parallasse", quasi che una sorta di speciale computer periferico badasse a coordinare e affinare sempre meglio il tutto, aggiustando il tiro, calibrando angolazioni, dosando tempi e pressioni ecc., tutto in strettissima connessione con quelle che di volta in volta possono essere le nostre contingenti intenzioni, consce o inconsce che siano.
Insomma, nel tempo si costituisce una vera e propria struttura dove "tutto si tiene": le due mani e le rispettive dita "imparano" ad agire in modo "sistemico", e non sarà mai più possibile, a "costume" ormai acquisito, imporre senza danno ruoli differenti a ciascuna delle singole parti dell’intera "configurazione".
Ecco allora il "Sistema Fisico Stilistico Personale" (quale strutturazione tecnico-corporea e linguistico-espressiva individuale, non ancora o solo nebulosamente codificata, e tuttavia sinergicamente coniugabile con ogni altra strategia tecnologico-musicale già esplicitata ed insegnabile, onde conseguire il miglior effetto comunicativo-espressivo possibile) quale concrezione nel tempo di un variegato complesso di abiti/abitudini, ovviamente determinati/e dal gioco congiunto di:
- fattori estrinseco-esterni, ambientali e culturali (ascolti, concrete esperienze, apprendimenti empirici, ecc.);
- istanze e tendenze personali, intime (fisiche e psicologiche).
Tutto un universo, insomma, necessariamente organizzato al proprio interno (tanto da poter in qualche modo funzionare), di comportamenti e consuetudini (inclusi i "vizi" e gli "errori", nel senso di "impostazioni poco o affatto efficaci"), gradualmente e per lo più inconsapevolmente costituitisi nel tempo, in una sorta di autoformazione-autopaideia per lo più silenziosa, sotterranea e smooth.
A noi il compito di "farvi luce", renderlo (auto)consapevole fin dove possibile mediante un approccio metacognitivo, e dunque utilmente sfruttarlo, facendone un invincibile cavallo di battaglia.
Il "Sistema" non contemplerà evidentemente tutte quelle svariatissime scelte comunicativo-espressive che la teoria/prassi musicale più standardizzata, in quanto "codice" consolidato e largamente condiviso, già prevede e serenamente autorizza, benché comunque esse consentano una certa (ma solo propedeutica!) comprensione/individuazione del particolare stile musicale di ciascuno (acciaccature, mordenti, legati, bending, sweepping e via dicendo), bensì qualcosa che in concreto trascenda tutto ciò e risulti comprensibile unicamente sfidando la porta stretta d’ogni "singola" e irriducibile avventura strumentale.
3. Per una definizione di "stile" nell’ottica del "Sistema"
1) Abituale maniera di esprimersi;
2) specifico modo di espressione di un artista, d’uno scrittore, di un’epoca;
3) particolare forma in cui l’espressione artistica si concretizza;
4) modalità di esecuzione di un pezzo.
È quanto possiamo leggere alla voce "Stile" consultando un paio di dizionari della lingua italiana, che conseguentemente definiscono "Stilema" come: "parola, frase, costrutto, procedimento caratteristico di un autore, di una scuola, di un periodo; componente elementare che caratterizza lo stile di un artista".
Assedi semantici del tutto plausibili.
Soprattutto, non smentiscono, anzi autorevolmente integrano quanto esposto fin qui.
Lo stile personale, s’è detto, viene a costituirsi quale strutturato "ensemble" di elementi non sempre, non del tutto e non facilmente "spiegabili" in termini consapevoli e/o quantitativi.
Ma esattamente in questo risiede il suo mistero, e dunque il suo inconfondibile fascino.
Il "Sistema" è infatti il prodotto, e successivamente il "motore", di un’eccitante lotta contro il caso, di un’inesausta ma avvincente "sfida all’alea" (di cui postuliamo, in teoria, ma abbiamo la fortuna di toccare con mano, ad ogni nuova e concreta performance, l’irriducibile "scarto"), di un emozionante giocare con le infinite possibilità dell’irripetibile-non quantificabile (nel tentativo di sempre meglio, ma indefinitamente-impossibilmente dominarlo: ed è lì la febbre che mi tiene irresistibilmente appeso/sospeso alla mia sei corde), là dove sono in gioco delle microstrutture, dei microcomportamenti, dei microcontatti e, in ultima analisi, la stessa "forma" fisica ed emotiva dell’esecutore, la quale, che lo si voglia o no, troverà comunque e sempre una propria, legittima, fedele espressione nel contesto delle modalità caratteristiche disponibili e accessibili all’interno del "Sistema".
Naturalmente, non tutte le componenti e i comportamenti nell’ambito di quest’ultimo organizzati entreranno macchinalmente in gioco, indifferenti nei riguardi d’ogni speciale situazione.
Anche su questo regnerà infatti una certa varietà-imprevedibilità di comportamenti, dovuta alle imponderabili condizioni sensorio-fisico-emotive del momento, oltre che alla specifica "qualità" del materiale di volta in volta agito.
Appena due esempi:
a) il pollice della mano destra non cercherà di smorzare, condizionare armonicamente o slappare, tramite il polpastrello, tutte le note di una lunga sequenza in virtuosa esecuzione, a meno che l’obiettivo non sia specificamente quello di ottenere un effetto nel complesso comico, grottesco o ridicolo;
b) raramente il medesimo dito interverrà in modo pedissequo su accordi (specie se "aperti") che per destino vogliano invece risuonare a lungo e senza ostacoli…