Tempo oggettivo, ideale, intersoggettivo o "mio"?

 

 

Nel mio precedente saggio (11. Il buio, il silenzio, il tempo, la musica, il racconto) scrivevo:

 

« Ed è anche vero che solo attraverso un adeguato "controllo" (aggiogamento) delle durate, degli accenti e degli attacchi, ovvero del proprio breath musicale (come in una sorta di yoga), è possibile "osservare", e quindi esprimere al meglio le proprie emozioni, dominandole fino a sublimarle.

Si tratta ovviamente di "stare nel tempo" (obiettivo a dir poco chimerico per molti chitarristi sfrenatamente emotivi o infantilmente esibizionisti), anche e soprattutto allorché si intenda suonare "contro" o "fuori", per lo più restando elegantemente "indietro".

Faccenda che meriterebbe un intero saggio tutto per sé (ed è probabile che l’affronti nel mio prossimo lavoro).

Ma innanzitutto: scrivere musica in "quale" tempo?

 

Occorrerebbe, prima d’ogni altra cosa, indagare con cura le interessantissime connessioni e contraddizioni effettivamente operanti fra

 

- un tempo oggettivo, scientifico, "digitale" (quello del metronomo: implacabile "cronometro"),

- un tempo ideale ("ottimale", magico: esteticamente/espressivamente parlando),

- un tempo intersoggettivo (da negoziare e condividere, in fase di ascolto o di attivo interplay, suonando assieme ad altri)

- e un "mio" tempo (fisico-emotivo, dinamico, incostante, precario, critico, personale, bizzarro, talora irriducibile: in ultima analisi, "analogico", non quantizzabile, passionalmente "performativo"). »

 

In parentesi già immaginavo di riprendere quanto prima una simile problematica, a mio avviso tutt’altro che peregrina, marginale o poco attraente, soprattutto sul piano pratico-performativo-strumentale.

Qualche idea su come sviluppare/approfondire l’intera questione ce l’avrei pure, ma, considerata l’eccitante levità dell’argomento e il ruolo che verosimilmente vi gioca la dimensione soggettiva, ovvero l’intero universo fisico-emotivo del musicista, e dunque il suo inconfondibile stile, preferirei lavorarvi optando per una ben diversa e certo più "democratica" metodologia.

 

In tal senso inviterei ogni eventuale mio lettore a contattarmi (gbguit@libero.it) per riferire/esporre liberamente il proprio punto di vista al riguardo, anche (e soprattutto!) se personalissimo o fondato su una concreta esperienza delle "cose" (approcci praticati, obiettivi perseguiti, riflessioni di percorso, difficoltà incontrate, strategie escogitate, progressi verificati e via dicendo).

 

In un secondo momento (qualora il materiale pervenutomi apparisse quantitativamente adeguato, vario e articolato), mi impegnerei ad assemblare-valorizzare al meglio, in un’organica opera collettiva dal sapore vagamente sperimentale, ogni dato-suggerimento-vissuto-provocazione (ovviamente, esplicitandone la fonte).

 

Gianni Bergamaschi